Sabbie arabe
di Wilfried Thesiger - Ed Neri Pozza
Il nome Rub-el-Khali siscrita rispetto ed incute timore, non solo ai suoi rarissimi viaggiatori, ma anche alle popolazioni nomadi beduine che vivono ai suoi margini. Rub-el Kahali è un luogo dannatamente difficile, dove le temperature diurene raggiungono livelli altissimi per la sopportazione umana, dove la vita si manifesta raramente o proprio per niente e dove le rare sorgenti d'acqua sono a distanze limite anche per i dromedari.
Wilfred Thesiger pur essendo stato il terzo esploratore ad attraversarlo nel 1945, ha lasciato un ricordo particolare e la sua impresa viene definita memorabile. Il suo itinerario atttraversò zone ritenute invalicabili da qualsiasi essere umano, come le infuocate dune dell'Uruq-el Shaiba e le vaste zone paludose che le circondano.
Thesiger aveva una vera e propria cotta per i beduini del Rub-el-Khali: i Rashid, uomini veri e puri, attaccati alle loro tradizioni ed al loro fucile. Ne descrive la cultura essenziale, il loro comportamento fatto di lunghi silenzi, ma anche di animate e burrascose discussioni. Un popolo fiero e generoso, fatalista e solidale, profondamente religioso, duro ed anche violento in alcuni casi.
Thesiger aveva abbracciato completamente i loro usi e costumi, diventando di fatto un vero e proprio beduino rashid. Poteva cavalcare giorni e giorni a dorso di un dromedario, sapeva sparare da un cavallo lanciato a corsa sfrenata e sapeva sopportare bene la sete e le altissime temperature del deserto. Ma, soprattutto, aveva imparato a pensare e vivere come un beduino. Aveva acquisito una mentalità da nomade, per cui riteneva i sedentari come esseri inferiori. Celebre è una sua frase, rivolta ad un amico:" Mai fatto un giorno di lavoro in vita mia, vecchio mio".
Il grande mare di sabbia
di Stefano Malatesta - Ed Neri Pozza
Il deserto non è solo sabbia, sole ed immense distese di nulla. Il deserto è anche uno spazio temporale, che l'uomo ha riempito con la sua presenza e le sue gesta, insomma con la sua storia.
Ci sono uomini che ci vivono,lavorando e spostandosi periodicamente da un luogo all'altro. Ci sono uomini che ci passano o ci sono passati, anche soltanto per il semplice gusto dell'avventura o la bellezza della sua natura. C'è chi lo ha percorso per sete di conquista e chi per predare carovane ricche di mercanzie. Tante e differenti sono state le presenze dell'uomo nel deserto. Tante e differenti sono le storie che si possono raccontare al riguardo.
Alcune di queste, Stefano Malatesta le ha raccolte nel suo libro dedicato al "grande mare di sabbia", che risponde al nome di Sahara.
Possiamo leggere della morte misteriosa di un etologo francese, come storie di soldati italiani e di commandos inglesi, del mitico treno "Sahara Express" e di personaggi assolutamnete incredibili, come i primi eroici trasvolatori, strani eremiti ed oscure spie. Troveremo figure storiche, come Italo Balbo e tracce della particolare architettura coloniale italiana; Laslo von Almasy "il paziente inglese", del quale si racconta la vera storia (non quel polpettone-romantico- strappa-lacrime nell'omonimo film).
Un bel affresco di uomini e donne che hanno, a vario titolo, chi più chi meno, legato la loro esistenza al più bello e grande deserto del mondo.
Il cammello battriano
di Stefano Malatesta - Ed Neri Pozza
Si presenta come un saggio molto documentato. Eppure, questo libro non disdegna anche di descrivere momenti avventurosi di spedizioni e memorie di viaggiatori-esploratori che, nei secoli passati, percorsero uno degli itinerari più importanti ed affascinanti della Via della Seta.
L'autore, seguendo antiche strade carovaniere, ha attraversato le splendide vallate dell'Hindukush, del Karakorum e del Pamir. E' stato a Kashgar, luogo di un leggendario mercato, ha attraversato il Taklamakan, il deserto il cui nome significa "Se entri non esci". Ha seguito itinerari di avventurieri e geografi, pellegrini‚ e briganti, che da Occidente si muovevano verso il mitico Oriente per arrivare a Dunhuang, un'oasi sperduta della Cina occidentale. Anche se oggi questa località è poco più di un piccolo punto sulle carte geografiche, migliaia di anni fa era il centro di una straordinaria cultura, che oggi qualche rudere emerso dalla sabbia ci fa solo immaginare.
Malatesta ne racconta la storia ed anche come i suoi resti, di inestimabile valore storico, vennero saccheggiati da numerosi archeologi "predoni". La prova di questa affermazione la troviamo al British Museum di Londra, dove oggi possiamo ammirare un pezzo unico e preziosissimo, che viene appunto da Dunhuang; è il Diamond Sutra, un rotolo buddista stampato nell'anno 866 A.C., sei secoli prima di Gutemberg.
Il paese delle maree
di Amitav Ghosh - Ed Neri Pozza
Chi conosce già questo splendido autore indiano non avrà bisogno di molte presentazioni. La sua narrativa è ricca di storie intrecciate di vari personaggi, di caleidoscopi di paesaggi e situazioni che chi è stato in India può tranquillamente immaginare veder accadere per le strade delle affollate città e lungo i sentieri dei polverosi villaggi.
Qui siamo nell'immenso arcipelago dei Sundarban, fra il mare e le pianure del Bengala. Secondo la leggenda questo arcipelago è sorto il giorno in cui la treccia del dio Shiva si è disfatta e i suoi capelli bagnati si sono sciolti in un intricato groviglio. Migliaia di isole e isolette dichiarate oasi protette dal governo indiano. Ma centinaia di senza terra un tempo le occuparono arrivando da tutta l‚ÄôIndia e ci costruirono le loro baracche creando una comunità che tentava di vivere secondo i principi di un "comunismo primitivo" molto solidale. Il sogno dello zio di Kanai, giovane ambizioso che vive e lavora a Bombay e che torna nell'arcipelago dopo la morte dello zio, avvenuta durante i disordini causati dall'esercito indiano per sgombrare i terreni occupati, a prendere un manoscritto lasciato in eredità appositamente a lui. Suo zio era professore, andato in pensione si recò lì e cercò di vivere "l'utopia"; sua moglie, donna concreta e intelligente, mise su con le donne del posto un centro di assistenza sociale e medica.
Kanai in viaggio per il Sundarban conosce Piya, giovane biologa emigrata negli Stati Uniti, in cerca di trovare i delfini di fiume, dati per scomparsi. Dopo varie vicissitudini scopriranno di avere in realtà molte cose in comune, e i loro occhi impareranno a guardare oltre la superficie e a vedere i dolori nascosti di entrambi.
Ma "eroe" del libro è Fokir, il pescatore che conosce ogni anfratto di quell'arcipelago e che farà da guida con la sua piccola barca, tra i mille canali a Piya e che, nonostante sia analfabeta, è l'unico a capire quanto importante il lavoro di questa giovane donna di città.
Durante un uragano violentissimo Fokir perderà la vita per difendere Piya che, dopo essere scesa nel baratro del dolore e del rimorso, organizzerà con la zia di Kanai altri luoghi di assistenza sociale in nome di Fokir.
Lo zio di kanai era un amante di Rilke, così tra le pagine così "indiane" che più "indiane" non si può... troverete molte citazioni del poeta tedesco fra qui questa, che io ho scritto sulla prima pagina del mio volume: "LA VITA NOSTRA TRASCORRE IN TRASFORMAZIONE".
La via delle donne
di Marlene van Niekerk
Collana: Le tavole d'oro
Recensione di Letizia Del Bubba
"L'avevi guardata mentre serviva il cibo senza dare segno di avere sentito. La pettorina ferma alla luce della lampada, solido il petto, come un muro su cui erano state invisibilmente incise, fin dal momento in cui l'avevi presa in casa, tutte le dichiarazioni tue e di Jak, le vostre prescrizioni e proibizioni. Un muro, un cuore di pietra che voi due le avevate impiantato. Ed era tutto quello che poteva restituirvi. Osservavi i suoi gesti, le sue frasi, il suo sguardo. Era una tua antologia completa, ti conteneva dentro di sé, era l'arena in cui voi due lottavate contro voi stessi. Non poteva essere altro che quello, fin dal principio. Il vostro archivio. Senza di lei, tu e Jak non avreste saputo nulla di voi. Era il vostro parlamento, la vostra sala degli specchi". (pag. 626). Più di settecento pagine di diari della Sig.ra Kamilla de Wet, donna afrikaner nata in una grande fattoria in Sud Africa nei primi anni venti, amante della musica, di Bach, della letteratura, sposata con un dandy presuntuoso e incapace di amore, Jak, solo attento alla sua prestanza fisica, alla superiorità della razza bianca, alle camice di seta. E poi Agaat (che significa Buona), una bambina con una malformazione ad una mano, picchiata, seviziata e denutrita, adottata come "serva" nella casa de Wet. Ma in quella adozione Kamilla, ancora senza figli, aveva versato molto amore, e passione, e dolcezza. Avrebbe voluto poterla amare come una figlia, ma era nera e, per poterla tenere vicino, doveva educarla a fare la serva. Una serva molto istruita però, che aveva imparato a cucinare, pulire, stirare, ricamare alla perfezione. E anche tutte le incombenze che richiedeva il lavoro nei campi e con le bestie, in una grande fattoria sudafricana. Jek era incapace di tutto, Kamilla (Milla) ormai non poteva far niente senza Agaat. Poi finalmente nasce un bambino, con parto cesareo in automobile grazie ad Agaat. E Jakkie, questo il suo nome, avrà due madri, quella naturale, bianca, e quella di fatto, nera, con cui instaurerà un rapporto di amorevole complicità fin dai primi giorni di vita. Milla e Jak continuano a tormentarsi quotidianamente, Agaat e Jakkie sono ora i loro nuovi pretesti. Ormai grande, Jakkie, ex pilota militare per volontà del padre, prima di lasciare definitivamente il suo paese, aveva voluto far volare Agaat sul suo Cessna, dicendo ai sui genitori:"Salirà su quel Cessna con me e sentirà cosa si prova a volare liberi come un uccello. Perché è di questo che lei ha paura. E' di questo che voi tutti avete paura. Avete più paura della libertà che dei comunisti. Non la riconoscereste neppure se ve la mettessero in grembo, e non sapreste che farne." C'è tutto il Sudafrica dell'apartheid in queste parole Poi la famiglia si sgretola, Jakkie scappa, incapace di adeguarsi all'apartheid e all'ipocrisia della società afrikaans, Jak muore in un incidente d'auto. Vicino ai sett'antanni Milla comincia a presentare i sintomi di una grave malattia degenerativa che, piano piano, l'imprigiona in un letto impedendole ogni movimento e la parola. Solo Agaat è in grado di capire lo sguardo dei suoi occhi. Solo lei vuole assisterla e Milla vuole solo Agaat. Solo alla fine del libro capiremo chi è Agaat per Milla e chi è Milla per Agaat. Le origini del loro rapporto. I nodi e le crepe, le gioie e le sofferenze di due donne del Sudafrica. Un paese pieno di violenza, in cui l'odio razziale ha trasformato gli uomini (sia bianchi che neri) in ubriaconi, le donne, ( bianche e nere) principalmente vittime predestinate della violenza maschile e succubi dell'ipocrisia cristiana afrikaan. La grande scrittrice Toni Morrison ha detto che la bellezza di questo libro è pari alla sua profondità. Per me è stato un viaggio nella parte più intima di due donne, nei loro lati più nascosti, nei loro non detti, nelle loro paure più represse, nella loro forza così soffocata ma chiara come il sole sudafricano.
Gli indiani, ritratto di un popolo
di Sudhir & Katharina Kakar
Recensione di Letizia Del Bubba
Chi ha visto al cinema "il destino nel nome" della regista indiana Mira Nair capirà cosa s'intende per "indianità". Il tema di questo libro infatti è l'identità indiana che, com'è scritto nell'introduzione "non la si sceglie: se ne è posseduti". Così attraverso la divisione in capitoli su vari temi, i due autori, uno psicanalista di Delhi e un'antropologa che ha studiato a Berlino, cercano di spiegare il perché di tanti gesti o, spesso, assenza di gesti e parole, che spesso ci chiediamo, noi "stranieri", in viaggio in quel paese, che è un continente, chiamato India. Ad esempio attraverso questo libro si riesce a capire meglio il disprezzo indiano per i dalit, cioè i fuori casta, gli intoccabili. Si spiega il comportamento che le persone devono avere con i loro superiori o con i colleghi sul posto di lavoro, come scegliere i cibi adatti per stare bene, i tanti doveri e impegni nella vita familiare, il rapporto tra uomo e donna. Ovviamente importante è la cultura della famiglia d'origine, la casta o il gruppo etnico a cui si appartiene. Ma alla base di tutto sta un profondo senso di appartenenza indiana, anche tra chi nasce all'estero da emigrati. Questa identità può essere anche dolorosa ma non è possibile liberarsene. E la cosa che ci sembra a volte più incredibile è che questa identità la si ritrova anche tra indù e musulmani indiani. Ovviamente c'è il nazionalismo indù, nato nell'800 come resistenza alla colonizzazione europea e che oggi di deve confrontare con i processi di modernizzazione e di occidentalizzazione della società indiana. C'è l'indù flessibile, quello che abita in città, che è legato alle tradizioni ma che sostiene entusiasta la globalizzazione. Cerca cioè di conferire alla sua eredità culturale e religiosa (tutto in India ha a che fare con la religione e i riti) una nuova forma per adattarla alla sua nuova vita moderna.
Il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru ha scritto: "per me, l'unità dell'India non era più un semplice concetto intellettuale, era un'esperienza emotiva da cui ero sopraffatto...Naturalmente era assurdo pensare all'India o a qualunque altro paese come a una sorta di entità antropomorfica. E mi guardavo bene dal farlo...Però sono convinto che radici culturali così antiche e un comune modo di vedere la vita abbiano sviluppato uno spirito peculiare dell'India, che rimane impresso in tutti i suoi figli, per quanto grandi siano le diversità esistenti tra loro."
Se invece leggiamo la narrativa indiana, però, in particolare le scrittrici, ci accorgiamo che le contraddizioni in cui vivono, ad esempio, le donne indiane, sono molte e molte sono quelle che cercano di uscire dalla gabbia della tradizione familiare. Insomma l'India è una realtà molto complessa,soprattutto se lo si guarda cercando di svelare i conflitti tra le diversità, prima fra tutte quella di genere. Una diversità che comunque obbliga alle mediazioni, ma questa è la storia di tutto il "vivere civile" in ogni angolo del mondo, anche se a noi occidentali sembra che oggi, più di ieri, ci faccia paura.